ANCONA PRIMA DELLA TEMPESTA “Nelle foto del comandante della contraerea Fazio Fazioli” di Sergio Sparapani 

21.09.2020

(Affinità Elettive, euro 20, 2020) 

di Giampaolo Milzi

Tuona di brutto, ma il cielo è sereno. Non si sa mai, c'è chi esce di casa con l'ombrello, ma non sa che quell'ombrello proviene da una partita di pezzi altamente difettosi, incapaci di alcuna protezione. Mi è venuta in mente questa immagine, leggendo le oltre 180 pagine e soprattutto incollando gli occhi alle eccezionali, suggestive 250 fotografie, in gran parte inedite, di questo ultimo lavoro dell'anconetano Sergio Sparapani, giornalista e autore di numerosi articoli e saggi sulla storia del '900 e militare in genere.

Il titolo del libro, "Ancona prima della tempesta" (edito da Affinità elettive) è tutto un programma. Pur se il sottotitolo, "Nelle foto del comandante della contraerea Fazioli", in realtà la pioggia distruttiva che si abbatterà a partire dall'autunno del 1943 dal cielo sul capoluogo marchigiano non la evoca. Perché gli scatti effettuati da Fazio Fazioli (1888 - 1966), "seniore" al comando della Milizia fascista contraerea di Ancona, con la sua Zeiss da amatore abbastanza provetto, si riferiscono al suo periodo operativo di guida militare, dal 1932 al 1942, un anno prima, appunto, che si scatenasse la tempesta dei bombardieri degli alleati anglo-americani sull'area Dorica, ben 141, dal 18 ottobre 1943 al 18 luglio 1944, giorno della liberazione della città. In realtà "Un obiettivo inerme", una città "non preparata ad affrontare una tale calamità", lo scrive subito Sparapani. Penalizzata dai "limiti della difesa antiaerea di (tutta, ndr.) la penisola, legati all'eccessivo frazionamento dei comandi, a dotazioni tecnologiche risalenti al conflitto precedente e a dottrine d'impiego anch'esse superate".

Obsoleto, è un aggettivo che usa spesso l'autore. Obsoleto il sistema di osservazione e allarme, obsoleti i pezzi di artiglieria, in gran parte antiquati, mitragliatrici con gittata di appena 100 metri (per gli appassionati, vengono descritti nel dettaglio tutti i modelli delle armi in dotazione e dove erano installate).

Praticamente inesistenti velivoli caccia da opporre ai bombardieri nemici. Un ombrello d'acciaio - avrebbe voluto il Duce - ma di cartapesta; un "gap enorme" rispetto alla potenza distruttiva del nemico di quella che, nel frattempo, era diventata la Repubblica Sociale Italiana, uno stato in realtà succube degli ordini dei tedeschi-nazisti la facevano da padrone in mezza Italia, con tanto di guerra civile-resistenziale in corso. Un ombrello ancora più debole, anche quando Ancona dal 13 settembre '43 fu occupata dalla Wehrmacht di Hitler che prese il comando dell'antiaerea.

Tornando alle foto, vere protagoniste di questo volume, assieme alla didascalie - ma vanno segnalati la precisione con cui Sparapani descrive lo scenario logistico-militare dell'incombente tempesta, il paragrafo dedicato al ritratto biografico di Fazio Fazioli, scritto dal nipote Andrea, e l'allegato-relazione di Fazio Fazioli del 1961 sulla situazione ad Ancona che "nel giugno del 1940, cioè alla data della nostra entrata in guerra, non aveva pronta una grande organizzazione difensiva" - ritraggono visi per lo più sereni e sorridenti, corpi impettiti e sguardi orgogliosi, i siti dov'erano dislocate le batterie antiaeree, "ma anche luoghi della città oggi mutati o scomparsi e volti di giovani che poco avevano a che fare con la guerra", come si legge nella prefazione. Molte le immagini, spesso di gruppo, dedicate alle batterie contraeree al Colle Cardeto, al Molo Nord del porto, ai Forti Altavilla e Montagnolo, Savio (sopra Torrette), per citare alcuni posti di difesa attiva, e ad eventi in quei luoghi e in altri. Sfilano gli scatti: l'apprestamento dei pezzi al Cardeto (1930-1931), le esercitazioni di "fuoco", la scuola di tiro al Cardeto, il piazzale e gli interni della Centrale di avvistamento alla Caserma Stamira, alzabandiera, adunate, distribuzioni del rancio, visite ai miliziani (spesso anziani richiamati) di generali, alti ufficiali e capimanipolo, i posti di vedetta al Monte Conero, a Settefinestre di Osimo, Numana e Marcelli, gli osservatori, gli apparecchi telefonici e radio, la distribuzione del rancio. E ancora, lo strambo apparecchio "aerofono" dalle grandi orecchie che però ci sentivano poco, che non riusciva ad intercettare il ronzio dei bombardieri in arrivo, tanto che alla fine, per gli allarmi - finalizzati a spingere la gente nei rifugi - si dovette contare sulle sirene e poi perfino sul "din don" delle campane delle chiese.

E poi scene di vita in tempo di guerra, con armati col fez nero in testa a far da cornice. Ignare della "tempesta" che si produrrà un anno dopo circa, la bambina che si esibisce nel settembre '42 davanti ai militi al Molo Nord su iniziativa del Dopolavoro Forze Civili, le giovani ingaggiate con orchestra per altri spettacoli al Forte Altavilla. Al Cardeto si celebra una messa per i militi, nello stesso luogo dove il 25 giugno del '42 va in scena la trebbiatura nell'ambito della propagandistica "campagna del grano" e dove "fioriscono" gli autarchici "orti di guerra". Suggestive le inquadrature del Colle Guasco con la cattedrale di San Ciriaco, del Colle Cappuccini con Vecchio Faro ancora attivo. Tutti, militari, ma anche i civili - è l'imperativo categorico di Mussolini - devono "considerarsi quasi truppe di prima linea", come si legge nelle varie scritte immortalate sui muri, assieme ai noti slogan "Duce vinceremo", "Credere, obbedire, combattere". Insomma, l'aria di guerra si respirava eccome. Ma per uno strano gioco del destino, in tanti, militari compresi, "si convinsero che la città sarebbe stata risparmiata dagli orrori della guerra aerea (...) per ragioni legate alla presenza di una antica comunità ebraica e alla fama di Ancona città antifascista". Un "Credere" alla rovescia, parafrasando Mussolini. Pie illusioni. Nei piani degli anglo-americani "Ancona" era "area bombing", da colpire incessantemente - mentre cacciavano via via i tedeschi risalendo la penisola - in qualità di nodo altamente strategico, col suo cantiere navale, il porto, la ferrovia. Ed infatti i rioni Guasco-San Pietro, Porto, Capodimomte, Piano San Lazzro, ne uscirono semipolverizzati, solo il 30% del capoluogo dorico si salvò dalla tempesta. Che porto via con sé, per sempre, 1182 civili, "ma è probabile che il bilancio delle vittime si aggiri piuttosto tra le 1.500 e 1.600". Probabilmente non ascoltavano gli allarmi di Radio Londra su "Ancona area bombing" i due miliziani che nel marzo del '42 giocano tranquilli a bocce in un acquartieramento con mitragliatrici su Monte Pulito (oggi via Rodi). Forse lo aveva fatto parte delle migliaia di sfollati che via via avevano abbandonato Ancona, che dai 78mila abitanti ante-guerra era scesa ai 62mila già nel '43. 

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