Le riforme che servono per un’Europa davvero libera e unita

14.09.2022

di Alfredo Bardozzetti

Nel dibattito pubblico spesso si è chiamata in causa l'Europa per rimproverarle mancanze. Di rado qualcuno ne tesse le lodi, descrivendola come una terra promessa per l'Italia. In entrambi i casi, purtroppo, l'idea di Europa che è presa a modello è distante dalla realtà dei fatti.

Con la 2° guerra mondiale ancora in corso, i migliori intelletti ragionarono sulle cause di quello sfacelo e sul da farsi per non consentire che si ripetesse. Su di una sperduta isola del Tirreno, Ventotene, un gruppo di antifascisti lì confinati individuò nella sovranità assoluta degli stati nazionali l'origine della volontà di dominio, degenerata nel tentativo egemonico dello Stato più forte su tutti gli altri asserviti. Spinelli, Rossi e Colorni nel 1941 individuarono nella creazione di uno stato federale la via per un'Europa libera e unita.

Faceva loro eco nel 1950 il ministro degli esteri francese Schuman quando constatava che: "l'Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra". Per rendere materialmente impossibile il ripetersi di un conflitto tese la mano alla Germania sconfitta, lui esponente di una potenza vincitrice, alla ricerca di una solidarietà di fatto che un passo alla volta, a partire dalla condivisione della produzione di beni essenziali come il carbone e l'acciaio, avrebbe portato all'unificazione economica prima, alla federazione poi.

Quando nel '54 fallisce il progetto di una Comunità politica e della costituzione di un esercito europeo - primo segno di una sovranità europea - non resta che la via dei piccoli passi a partire dall'economia.

L'Unione europea di oggi è figlia di questa storia. Non possiamo chiedere a questa Europa di agire in tutti gli ambiti per noi più rilevanti, perché essa ha solo le competenze che le sono state assegnate dai trattati. Non può intervenire sui temi dell'energia o della gestione dei fenomeni migratori. Non può avere un ruolo diretto nelle crisi economiche perché nel suo bilancio non ha risorse da gestire secondo l'evoluzione delle circostanze. E queste competenze non le ha perché gli Stati hanno pensato di poter gestire meglio queste materie a livello nazionale. Mai come in questi anni tale preferenza si è mostrata tanto distante dall'interesse dei cittadini europei.

E dire che nelle materie che l'Unione gestisce in proprio i risultati ci sono stati. L'Unione ha negoziato numerosi e convenienti trattati commerciali con Stati grandi e rilevanti per lo scambio di merci (Canada e Giappone esempi recenti). Nella tutela della concorrenza la Commissione (che dell'Unione è l'esecutivo) ha più volte multato colossi dell'economia digitale, a tutela dei consumatori europei. E l'esistenza della moneta comune, l'Euro, ha permesso di sostenere vari Paesi nella fase più buia della crisi dei debiti sovrani (il "whatever it takes" di Draghi è nel frattempo divenuta un'espressione iconica), anche con un ruolo di supplenza della politica di bilancio intrappolata nella dimensione nazionale.

Ma non per questa Europa lottarono i giovani che, soffrendo in carcere e in battaglia, immaginarono una rivoluzione che avrebbe garantito la pace e la giustizia sociale in un quadro di democrazia compiuta e partecipata. Noi del Movimento Federalista Europeo, che ad Ancona abbiamo radicato una sezione, pensiamo che siano maturi i tempi per tornare a sventolare la bandiera dell'Europa libera e unita. Nella recente Conferenza sul futuro dell'Europa ci siamo fatti promotori di riforme incisive. Chiediamo e ci impegniamo per una riforma dei trattati che riconoscano un ruolo maggiore al Parlamento europeo, centro del sistema democratico di rappresentanza dei cittadini europei. Per un'Unione capace di decidere è necessario che siano ridotti al minimo gli ambiti nei quali è necessario deliberare col consenso unanime degli Stati membri, passando al criterio della maggioranza qualificata. Per una dimensione non solo economica l'Unione deve acquistare competenze nei settori della salute, della politica sociale e di quella energetica, della difesa e dell'ambiente.

L'Europa nuova non cade dal cielo, ma va pretesa. È tempo che i giovani avvertano l'incapacità degli stati nazionali a rispondere alle sfide globali come una minaccia per il loro futuro.

Email Facebook Messenger Telegram WhatsApp