“Le vite dei neri contano”, tantissimi giovani al presidio in piazza Roma ad Ancona contro la brutale violenza della polizia USA e il razzismo: molti slogan, cartelli, dibattito e un minuto di silenzio

06.06.2020
di Maria Laura Bartolucci

Circa 250 persone, in grande maggioranza giovani, tra i quali molti fratelli migranti, - parecchi provenienti da altre città marchigiane - oggi pomeriggio hanno presidiato la centralissima piazza Roma, ad Ancona, per ricordare appassionatamente George Floyd, l’afroamericano ucciso a Minneapolis dal poliziotto Derek Chauvin il 25 maggio scorso. Alle 16,30 in tanti si sono riuniti in un cerchio per comunicarsi a vicenda la rabbia per l’omicidio, il cordoglio e la voglia di un mondo diverso. Per un’ora il microfono è passato di mano in mano. “Razzismo è quando sono seduto in treno e vedo la gente che passa in cerca di un posto e nessuno si siede vicino a me. Solo perché sono nero”, ha detto un ragazzo. “Razzismo è quando entro in un negozio e mi guardano dall’alto in basso, pensano: che ci fai qui? Non te lo puoi permettere”, gli fa eco una ragazza. “Io sono un’insegnante delle elementari. Fra i bambini il razzismo non esiste: per loro tutto è normale”, racconta inventa una donna. L’intervento più apprezzato e applaudito? Quello di Rosalie, trent’anni: “Sono cresciuta in Libano, sotto le bombe. A me e alla mia famiglia, provenienti dalla Nigeria, hanno portato via i documenti, hanno portato via tutto. Nessun padre di famiglia metterebbe la propria famiglia su un barcone senza queste ragioni. E a 15 anni sono stata picchiata senza motivo. A 16 per poco non mi stupravano. Noi neri, noi africani, siamo cresciuti nella violenza. Siamo abituati. Per questo, tutto dipende da come i bianchi ci tratteranno: vogliono la pace? Ci sarà la pace. Ma se vorranno la guerra, l’America brucerà per mesi”. 

Molti i cartelli: su alcuni, scritti concetti come “Non basta non essere razzisti: bisogna essere antirazzisti”. E ancora: frasi contro l’uso eccessivo, irragionevole e spropositato delle violenza da parte della polizia americana; contro lo sfruttamento sistematico che il capitalismo esercita sulle classi oppresse. E, dilagante, lo slogan “Black lives matter”, le vite dei neri contano. “Si sente spesso dire: ma perché sostieni black lives matter? Tutte le vite contano, no? Il fatto è questo: nessuno dice che le vite dei bianchi non contano. Ma i neri subiscono un razzismo sistematico da secoli. Siamo noi ad essere trattati come se le nostre vite non contassero. Non importa se gay, lesbica, bianco, nero, giallo, arancione: siamo tutti umani e dovremmo essere trattati allo stesso modo”, ha spiegato una ragazza. Al termine degli interventi, un minuto di silenzio per commemorare tutte le vittime del razzismo negli USA e nel mondo. I presenti hanno alzato il pugno destro, un gesto simbolo delle manifestazioni di protesta popolare che da quel 25 maggio ancora scuotono tantissime città della stragrande maggioranza degli stati della federazione a stelle e strisce.Alla fine, un lungo applauso. 

L’agente di polizia Derek Chauvin, dopo aver subito l’arresto e la misura dell’isolamento in carcere, nei giorni scorsi è stato accusato di omicidio volontario. 

Il 4 giugno, anche i tre colleghi che con lui avevano partecipato al fermo del 46enne George Floyd, sono stati posti sotto inchiesta giudiziaria per l’ipotesi di reato di omicidio colposo, ovvero per aver agito in modo di favorire l’assassinio, aiutando Chauvin a bloccare brutalmente a terra la vittima che non riusciva a respirare. Infatti Chauvin per quasi 9 minuti ha premuto il suo ginocchio sul collo di Floyd.

Queste sono le ultime parole di George Floyd, deceduto - secondo l’esito dell’autopsia effettuata su richiesta della famiglia - per un’asfissia provocata dall’ostruzione del flusso sanguigno verso il cervello:


«È la mia faccia, amico 
non ho fatto nulla di grave, amico 
ti prego 
ti prego 
ti prego non riesco a respirare 
ti prego amico 
qualcuno mi aiuti 
ti prego amico 
non riesco a respirare 
non riesco a respirare 
ti prego 
(parte non comprensibile) 
amico non respiro, la mia faccia 
devi solo alzarti 
non riesco a respirare 
ti prego, un ginocchio sul mio collo 
non riesco a respirare 
merda 
lo farò 
non posso muovermi 
mamma 
mamma 
non ce la faccio 
le mie ginocchia 
il mio collo 
sono finito 
sono finito 
sono claustrofobico 
mi fa male lo stomaco 
mi fa male il collo 
mi fa male tutto 
un po’ d’acqua, o qualcosa 
vi prego 
vi prego 
non riesco a respirare, agente 
non mi uccidere 
mi stanno ammazzando 
ti prego, amico 
non riesco a respirare 
non riesco a respirare 
mi stanno ammazzando 
mi stanno ammazzando 
non riesco a respirare 
non riesco a respirare 
per favore, signore 
ti prego 
ti prego 
ti prego non riesco a respirare» 

Poi ha chiuso gli occhi e ha smesso di supplicare. La morte di George Floyd è stata dichiarata poco dopo. 

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